GUERRE E PACE
Carissimi, ancora una volta, ci ritroviamo nel Tempio della democrazia: la Camera dei Deputati. Siamo immersi nel cuore stesso della politica italiana. Questo è il ventitreesimo convegno organizzato da “Parole Guerriere”, il tredicesimo che si tiene qui a Palazzo Montecitorio. Tuttavia, è il nostro primo incontro in questa prestigiosa Sala, la Sala della REGINA. E ammetto di essere particolarmente emozionato.
Come molti di voi sapranno, questo nuovo ciclo si chiama “Pomeriggi Popolari – Dentro la Politica: dialoghi sulle priorità del Paese”. Sin dal 2017, la nostra missione è stata quella di promuovere l’incontro e il dialogo tra intellettuali, politici e popolo. I nostri eventi si caratterizzano per due elementi: l’inter-disciplinarietà e la trasversalità. Infatti, mettiamo a confronto esperti provenienti da diverse discipline e politici appartenenti ad ogni schieramento.
Il nostro impegno -dunque- è quello di contrastare la crescente s-politicizzazione delle persone, fornendo loro degli strumenti, delle chiavi per interpretare la realtà e partecipare da protagonisti alla vita pubblica. Lo sappiamo, il tempo che viviamo, è assai complesso, ma credo che una verità stia emergendo in maniera chiara: le semplificazioni ideologiche non funzionano più. Se in passato hanno alimentato il motore della Storia, oggi sortiscono l’effetto contrario, ci deprimono e ci spingono alla passività, che poi si tramuta nei dati dell’astensionismo.
Le persone non si appassionano più “per partito preso”. C’è un bisogno sempre più urgente di comprendere chiaramente i “perché” che stanno dietro le scelte politiche. Vedete, noi non ce ne accorgiamo, ma è proprio questo bisogno di un’anima politica, che spesso ci manca nella nostra vita quotidiana che ci fa sentire così arrabbiati o spaesati, mentre pian piano ci ripieghiamo -infelicemente- solo su noi stessi, sui nostri problemi personali. Ma il personale è politico! La nostra profonda natura è quella di “animali politici”: c’è poco da fare, noi troviamo significato e entusiasmo solo quando ci uniamo agli altri per perseguire un fine comune, qualcosa capace di formare e ampliare il nostro orizzonte di senso, di appagare la nostra fame di significato.
Nell’ultimo incontro abbiamo affrontato il tema delicato della demografia e del femminicidio, e avevo accennato alla paura fondamentale di questa mia generazione, e cioè l’ansia da insufficienza. Una paura – si potrebbe dire – postmoderna, invece oggi parliamo di un altro tipo di paura, una paura che è allo stesso tempo una pulsione antica, forse la più ancestrale: la Guerra. Quando i venti della guerra soffiano così tangibili, come in queste ore così delicate, riaffiorano nel cuore dei popoli gli interrogativi più profondi. Qual è il nostro ruolo nel mondo? Che direzione stiamo prendendo? Pensiamoci… noi ci troviamo nei primi venti anni di un nuovo secolo, il primo di un nuovo millennio appena iniziato, eppure avvertiamo profondamente sulla nostra pelle il travaglio della fine di un lungo ciclo. Alcuni autori descrivono apertamente questo tempo come quello di una svolta antropologica in atto, addirittura. Eppure i problemi sono gli stessi di sempre: guerre, povertà, dominio dell’uomo sull’uomo.
Vedete, è una questione di percezione del tempo. Tutte le culture e soprattutto gli imperi, tendono a percepirsi come il centro del mondo. Percepiscono il proprio tempo come l’unico possibile, come se fosse lo “stesso” tempo che anche gli altri stanno vivendo. Ma questa percezione varia notevolmente da una cultura all’altra. Il tempo di un Cinese non è lo stesso di un Persiano o di un Arabo, come quello di un Indiano o un africano non è lo stesso di un occidentale. E mentre il tempo scorre,
tutti noi combattiamo l’eterna battaglia tra le due nature dell’essere umano – quella conflittuale che fa guerra e quella cooperante che sa mediare.
La lotta tra dominio e amore è universale, e si gioca sia a livello individuale che a livello collettivo. A ben guardare, possiamo facilmente notare come i conflitti all’interno delle relazioni personali, in famiglia nel lavoro, hanno le stesse intime radici delle tensioni internazionali che poi portano alle guerre mondiali. Per un motivo molto semplice: i popoli, le nazioni, gli imperi sono fatti di persone. La volontà di potenza e dominio esiste nelle persone, come nazioni e molto spesso – è curioso – deriva da un profondo senso di ingiustizia dal sentirsi vittime di qualcosa o qualcuno.
—Non so se il prof. Sibaldi sia d’accordo con questo, forse ce lo dirà tra poco.
Ora, noi ci troviamo in un momento cruciale, in un periodo di cambio di paradigma – direi se avessi studiato alla Scuola di Limes – in cui le guerre in corso e le tensioni geopolitiche pongono l’Europa di fronte a scelte decisive. Il nostro vecchio continente, che volente nolente è il custode delle radici culturali dell’intero Occidente, ha ancora -sicuramente- un ruolo geopolitico fondamentale.
Tra poco, a giugno, come loro sanno, si terranno le elezioni per la formazione del nuovo Parlamento dell’Unione Europea. Tra i molti temi all’ordine del giorno, uno spicca in particolare: la questione della difesa comune. Tuttavia, sullo sfondo, c’è un argomento che non possiamo di certo omettere, l’elefante nella stanza, e cioè: l’assenza -forse l’impossibilità?- di creare un’effettiva unione politica europea. In questo contesto, è essenziale riflettere sul ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, una regione cruciale per la stabilità di tutto il continente. Situati nel cuore del mare di mezzo, tra oriente e occidente, dal mare nostrum passa tutto, dalle merci ai cavi sottomarini del world wide web.
Ed ecco che l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, e la recente riaccensione del millenario conflitto israelo-palestinese con dietro l’Iran ci hanno improvvisamente destato da un lungo sonno; di cui -devo dire- i nostri media nazionali sono stati la ninna nanna di fondo. —Questo magari lo chiediamo a Tommaso Labate.
Insomma ci siamo dovuti svegliare dall’illusione di una pace perenne, che in realtà – per quanto ci riguarda – è fondata essenzialmente sulla scelta di far parte della sfera di influenza, dell’egemone mondiale e cioè gli Stati Uniti d’America. Grazie alla loro enorme potenza militare ci siamo garantiti la nostra sicurezza, in un mondo che non vive -evidentemente- di sola economia – come noi invece siamo convinti. — E su questo forse ci fornirà dei lumi il dottor Petroni.
Questi conflitti ci hanno ricordato finalmente che la storia non è affatto finita come ad occidente si è teorizzato e soprattutto che la storia non è mai davvero passata. Ci troviamo di fronte a un nuovo disordine mondiale. Come affrontarlo? Noi, il popolo, dobbiamo essere consapevoli che questi conflitti non sono affatto degli incagli inspiegabili della storia. Non sono il frutto delle scelte scellerate di singoli leader. La verità complessa da digerire è che siamo immersi nel flusso continuo della Storia dove tutti i nodi irrisolti, ri-emergono insieme a quelli nuovi.
In conclusione, voglio affermare con forza che, nonostante sia vero che la storia dell’umanità sia stata caratterizzata da guerre di dominio, sono fermamente convinto che gli esseri umani hanno una struttura intrinsecamente orientata alla cooperazione e alla mediazione; è decisamente questo il tratto distintivo della nostra specie! Col dialogo e la mediazione abbiamo costruito le nostre civiltà. Ma come comportarci con coloro che il dialogo lo rifiutano? Il punto è che tutti, proprio tutti, credono di avere un motivo valido per fare quello che facciamo, persino per fare la guerra. E su questa suggestione, vorrei dare immediatamente la parola al nostro primo esperto.
Trovatore ed attivista politico
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